Nel maggio del 2019, quando de Bortoli ha intitolato un suo libro Ci salveremo, nessuno poteva mettere in conto, per usare il linguaggio della virologa Ilaria Capua, l’arrivo dello “sciame virale” provocato dall’invisibile Covid-19, che da un paio di mesi “attraversa la popolazione della Terra” e che potrebbe essere il “Cigno nero che scuoterà violentemente il sistema”, dato l’impatto pandemico, sanitario, culturale, sociale, psicologico, economico e politico che sta colpendo la nostra vita.
Tuttavia, pur mentre sale la curva dei contagiati e delle vittime di questa guerra contro un nemico invisibile, che sta rendendo spettrali città prima piene di vita, da qualche giorno si ripetono flash mob all’insegna dell’”andrà tutto bene”. Chiediamoci: qual è il soggetto del “ci salveremo” e a chi “andrà tutto bene”? Noi chi? Noi italiani, noi europei (…) noi esseri umani? Si potrebbe continuare, selezionando coloro che ci interessano più da vicino. Certo non potremo salvarci per sempre da “sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo vivente può scapare”, per dirla con San Francesco.
La cronaca ci abitua a pensare che a morire siano “gli altri”, e che gli altri in generale non siano nostri fratelli e sorelle.
Nel 1948 le Nazioni Unite, dopo la tragedia della guerra, trovarono il coraggio di scrivere nella Dichiarazione universale dei diritti umani: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fraternità” (art.1).
Di fatto molti comportamenti reali e una cultura diffusa non fanno onore a queste convinzioni e al conseguente dovere. L’umanità non è però solo ciò che fa, mostrando talora il peggio di cui è capace. Essa è anche ciò che ha pensato e pensa di sé: è anche portatrice degli ideali che molti trovano nella loro coscienza, studiando, lavorando onestamente, impegnandosi come cittadini attivi e credibili. Come gli eroi degli ospedali di oggi. E come i migliori scienziati, tecnici, lavoratori, politici italiani ed europei, che sembrano resistere all’invasione del virus e dimostrare di saper anche a guardare lontano. Questi hanno un’occasione storica, dopo la catastrofe in corso: o salvarci insieme o perdersi, illudendosi di difendersi come partitelli e staterelli autosufficienti.
Churchill disse a Zurigo, nel 1946: «C’è un rimedio alla tragedia dell’Europa. Il rimedio è di ricreare la Famiglia europea. Dobbiamo creare una sorta di Stati Uniti d’Europa: bisogna avere il senso di un “patriottismo allargato” e di una cittadinanza comune». Il “nostro” futuro dipende dalla capacità ricordare le tragedie vissute dai padri e di trarre ispirazione da coloro che sanno fare qualcosa per gli altri. E lo stanno facendo, come dimostrano gli spontanei flash mob in onore del personale sanitario che rischia la vita, per salvarne altre.
Ha scritto Hoelderlin: “Ciò che spesso fa della nostra vita un inferno è la nostra pretesa di farne un paradiso”. E “paradèisos” in greco è un giardino circondato da mura. Hic Rodhus, hic salta.

Luciano Corradini

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