Le parole sciopero e occupazione tornano ad essere usate dagli studenti delle scuole secondarie superiori e pubblicizzate da manifestazioni, interviste e comunicati, diffusi dai mass e social media, in un senso diverso da quello antiautoritario, talora violento, che risale alla contestazione sessantottina e alle autogestioni divenute nel tempo quasi rituali per conquistare spazi di agibilità alternativi al normale funzionamento delle scuole, o addirittura per nobilitare qualche vacanza supplementare. Oggi obiettivo della protesta, in complesso pacifica e ben argomentata, è il pieno funzionamento «tradizionale» della scuola, contro le «serrate» imposte dal Governo o da talune Regioni, che intendono combattere la sempre più aggressiva diffusione della pandemia del virus Covid 19 e delle sue mutazioni.
Alcuni studenti studiano provocatoriamente con i loro tablet davanti alle scuole, per rivendicare il diritto alla scuola, adottando il metodo dello sciopero dimostrativo inaugurato dalla studentessa Greta Thumberg, per spingere i governi a combattere il cambiamento climatico e a promuovere uno sviluppo sostenibile per il Pianeta. In questo caso gli studenti hanno trovato la solidarietà della ministra dell’Istruzione Azzolina, di parecchi insegnanti e dirigenti che hanno spesso dato il meglio di sé, e addirittura quella dei parlamentari guidati dall’ex presidente del Consiglio Renzi, che ha provocato la crisi del governo guidato dal presidente Conte, con l’intenzione, ai più incomprensibile, di migliorare la gestione dei rilevanti fondi europei denominati Next Generation Eu.
Tempesta perfetta, sul piano sanitario, economico, istituzionale, ad ogni livello. Negli Usa la democrazia americana ha subito uno sfregio incredibile con l’attacco a Capitol Hill dei fan di Trump, che volevano contestare armi in pugno la vittoria elettorale di Biden. Questi giurerà come 46° presidente Usa, in un clima assai teso. Anche i nostri giovani hanno sofferto sotto molti aspetti per gli effetti della pandemia scoppiata lo scorso anno, come dimostra il rapporto steso da un gruppo di esperti su «Demografia e Covid», sintetizzato da A. Rosina su Avvenire del 15 scorso. Oltre il 90% di loro afferma di condividere le norme restrittive e di metterle in pratica, ma la pur importante e migliorabile Dad, con la telematica, non ha funzionato bene ovunque, aumentando il rischio della dispersione e dell’impoverimento formativo di diverse fasce di giovani.
Mentre si stanno aprendo cantieri di lavoro, per «governare l’inatteso», come propone Piercesare Rivoltella, presidente della «Società italiana di ricerca per l’educazione mondiale», integrando le prospettive dell’educazione in presenza e a distanza, può essere utile ricordare come si affrontò il problema del disagio scolastico e dell’innovazione all’inizio degli anni ’90, che portò al Progetto Giovani, all’autonomia scolastica e allo Statuto degli studenti.
Nel ’92 una mano ignota aveva scritto su una scuola «occupo ergo sum». Nel documento finale della Conferenza nazionale del ’93, gli studenti hanno scritto: «È certo che il Progetto Giovani ha sviluppato in noi un senso di appartenenza alla scuola e una maggiore consapevolezza sul funzionamento dei processi interni all’istituzione stessa. Attraverso il Pg siamo riusciti a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sui problemi giovanili». «Riteniamo necessario promuovere nella scuola una cultura della legalità, che favorisca una cultura della partecipazione. La grave crisi delle istituzioni, che stiamo attraversando, rischia di trasformarsi in cultura del disfattismo e del disimpegno: occorre recuperare un positivo rapporto con le istituzioni, attraverso un programma mirato e specifico di educazione civica. Creare una cultura della legalità è un’emergenza sociale ed una condizione per una rinnovata, consapevole partecipazione. Il nostro obiettivo è: essere scuola, non esserci solo dentro».
Il Rapporto all’Unesco di Faure (1972) aveva per titolo «Imparare ad essere».

Luciano Corradini

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