Il salto che si è verificato nel corso degli anni ’40, nella storia del mondo, e in particolare in alcune delle coscienze più lucide, come fu quella di don Milani, sta nel riconoscimento della follia della guerra e nella riscoperta della dignità della persona umana, su cui si reggono i “diritti inviolabili dell’uomo”, venuti in piena luce con l’articolo 2 della Costituzione e con l’art. 3, che parla di pari dignità sociale e di eguaglianza di fronte alla legge, “senza distinzioni di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Questi ostacoli la Repubblica deve rimuoverli non in senso psicanalitico, cacciandoli nel subconscio, ma con la ragione, con la politica, con l’economia e con l’educazione.
Maestro volontario e senza cattedra, don Milani si è sentito Repubblica, più della professoressa di ruolo, che voleva burocraticamente “fare le parti uguali fra diseguali“.
Ha capito in particolare la gravità degli ostacoli, anche di natura culturale, che impediscono il “pieno sviluppo della persona umana”. E’ questo il concetto più pedagogico della nostra Carta, reso esplicito dall’art. 3, che lo afferma anche come fine di tutto l’ordinamento costituzionale, ponendolo sullo stesso piano della “effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese”.
Neanche l’insegnamento del Vangelo serve, se non si aiuta prima la persona a diventare cosciente della sua dignità, del suo valore e dei correlativi diritti e doveri; e a capire e usare le parole, che vanno al cuore delle cose e che consentono l’accesso all’uguaglianza, al lavoro, alla cittadinanza, e anche alla Parola, nel senso biblico dell’espressione.
Con la fine della seconda Guerra mondiale, sono cambiate le condizioni etico-giuridiche non solo del nostro Paese, ma del mondo intero. La nostra Costituzione è stata per don Milani un evento capace di fornire una chiave di lettura del mondo, della società e della scuola: in certo senso la sintesi delle idee più importanti della storia dell’Occidente, poi affermate nella Dichiarazione Universale dei diritti umani (1948).
La scuola italiana però non stava facendo con coerenza questa “rivoluzione copernicana”, come aveva chiesto un ordine del giorno presentato da Moro e altri e votato all’unanimità dall’Assemblea Costituente l’11 dicembre del 1947: ” che la nuova Carta Costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano”. Don Milani ha citato questo voto nella Lettera ai Giudici.
Già nella LP aveva denunciato il ritardo nell’attuazione di quel voto: “Quella professoressa, vi si legge, s’era fermata alla Guerra Mondiale. Esattamente al punto dove la scuola poteva agganciarsi alla vita. E in tutto l’anno non aveva mai letto un giornale in classe. Dovevano esserle rimasti negli occhi i cartelli fascisti: “Qui non si parla di politica”. “Ma voi – aveva scritto per difendere il diritto di Gianni a frequentare la scuola – avete più in onore la grammatica che la Costituzione”.
Luciano Corradini