Il contesto attuale definisce un aspetto del mondo del lavoro particolarmente complesso che impone una diversa lettura in merito alle diseguaglianze che la crisi sanitaria, tutt’ora in atto a livello globale, sta determinando.
I dati Istat riferiti al mese di dicembre 2020 evidenziano come su 440.000 posti di lavoro persi, 312.000 coinvolgano l’occupazione femminile. Numeri confermati anche nel mese di marzo 2021: il tasso di disoccupazione in Italia scende al 10,1% (-0,1% da febbraio), quello femminile sale all’11,4% (+0,2%).
La pandemia ha ulteriormente accentuato le differenze occupazionali amplificando le difficoltà delle donne in relazione al lavoro. Una circostanza che impone la necessità di rivedere e ridefinire nuovi strumenti di welfare quale mezzo fondamentale per favorire la conciliazione tra vita e lavoro.
I fondi messi a disposizioni dall’Europa su progetti specifici oltre a quelli derivanti dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) devono diventare l’occasione per realizzare interventi strutturali a sostegno delle persone e delle famiglie.Costruire soluzioni che riescano a contemplare le nuove esigenze sociali con quelle economiche, ovvero considerare sullo stesso piano le politiche sociali e le politiche economiche. Un modo innovativo per pensare una società: inclusiva, libera da diseguaglianze e, soprattutto, focalizzata sulla ricerca del bene comune.
Le ingenti risorse in arrivo dovrebbero essere impiegate in investimenti di lungo e medio periodo, in grado di creare i presupposti affinché anche le donne che entrano nel mondo del lavoro, lo possano fare compatibilmente con le proprie scelte di vita.
L’utilizzo consapevole e sostenibile delle risorse diventa quindi un fattore fondamentale, l’elemento chiave per una progettualità che sappia coinvolgere tutte le parti in campo.Definire per esempio un piano di sviluppo degli asili nido e disegnare un’organizzazione scolastica costruita su una scuola a tempo pieno, rappresenterebbe un passo importante verso una società e un mondo del lavoro rivolto a sostenere anche l’occupazione femminile.
Lo sviluppo del cosiddetto welfare aziendale, non sufficientemente utilizzato dalle medie e piccole imprese e ancora “privilegio” di poche realtà aziendali, sarebbe un investimento che, oltre a soddisfare precise logiche economiche per il datore di lavoro, andrebbe a supporto del sistema di welfare pubblico ancora troppo carente.
In una provincia come quella di Brescia, tra le più industrializzate a livello europeo, il potenziamento generalizzato del welfare aziendale potrebbe rappresentare un importante esempio per il nostro Paese.
Maria Rosa Loda, Consigliere Atelier Europeo