Il 6 dicembre 2022 si è insediato il Comitato nazionale per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, nel Palazzo Medici Riccardi di Firenze. Si è costituito per iniziativa della Fondazione don Milani, dell’Istituzione don Milani di Vicchio e del Gruppo di volontariato don Milani di Calenzano. I loro presidenti hanno invitato a farne parte 40 persone, collegate alla Chiesa – diocesi di Firenze e CEI-, alle istituzioni, al mondo dell’educazione, scuola e università e più ampiamente al mondo del sociale e del lavoro. Queste ne hanno affidato la presidenza a Rosy Bindi. Al Centenario è stato concesso l’alto patronato del Presidente della Repubblica.
Don Lorenzo Milani, nato il 27.5.1923, era afflitto da una rara malattia tumorale quando uscì il suo libro più famoso la Lettera a una professoressa, frutto della sua cura di un lavoro collettivo fatto con i suoi studenti. Stava per concludere la sua vita terrena, a soli 44 anni, il 26.6.1967.
La vitalità che Pierpaolo Pasolini attribuì a questo libro non significa energia fisica e giovanile baldanza, ma capacità andare al cuore delle questioni, dicendo parole vere, vissute, testimoniate, e perciò capaci di superare le contingenze da cui sono nate. A poche ore dalla sua morte disse all’allievo e amico Michele Gesualdi: ”In questa stanza c’è un cammello che passa dalla cruna dell’ago. Non lo raccontare mai a nessuno”. Si sentiva come un “giovane ricco” che, a differenza di quello citato dal Vangelo, aveva venduto tutti i suoi beni, per darli ai poveri, secondo l’invito di Gesù.

Le frasi da antologia di tutti gli scritti di don Lorenzo, che per molti di noi sono state, negli scorsi 55 anni, illuminazioni improvvise, “fucilate di senso”, sono state scritte da un giovane che ha vissuto una vita straordinaria e quasi incredibile, che affrontava con coraggio le persone e le istituzioni con le quali spesso si scontrava, sulla base di un amore limpido e talora rabbioso, ma sempre obbediente: obbediente al Vangelo e alla Costituzione prima che alle autorità religiose e civili che lo emarginarono e lo condannarono, senza che egli si ribellasse.
Questo non basta a spiegare la perdurante “vitalità” di don Milani, in un mondo come il nostro, che non sovrabbonda di credenti e di cittadini “praticanti”, di persone cioè che conoscano e mettano in pratica la Costituzione italiana, ossia il secondo testo che, dopo il Vangelo, era ritenuto “sacro” dal prete-maestro di Barbiana.

Vitale in senso più ampio è il pensiero di don Milani, sulla società, sulla Chiesa, sulla scuola, sulla politica italiana del Novecento. Vitale in particolare è questo disadorno libretto, tradotto in moltissime lingue e considerato ormai in tutto il mondo un classico della pedagogia scolastica.
Molte leggi e circolari ministeriali sono pressoché dimenticate dal mondo della scuola, ma la Lettera, scritta dai ragazzi di Barbiana, con la regia di don Lorenzo, nonostante le condizioni culturali e istituzionali siano oggi lontane da quella stagione, è ancora viva e presente fra molti insegnanti, in particolare i più impegnati, non solo italiani.

Questi ragazzi, figli di famiglie povere, lontanissime dai libri, con l’aiuto di quella regia e di quel metodo, scrissero un testo che ha utilizzato gli strumenti della sociologia, che ha parlato il linguaggio dei dati e delle esperienze, raccontandole con efficacia talora graffiante e facendo da queste balenare principi e teorie che ancora oggi illuminano e fanno pensare. Acuto, screanzato, provocatorio, questo testo è ricco di verità pungenti e di volontà di riscattare i ragazzi che la sociologia e la storia registrano come condannati all’insuccesso. Ora questi ragazzi di allora sono custodi e promotori credibili di un ampio patrimonio di scritti e di documenti su cui torneremo volentieri.

Luciano Corradini

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