Tutti vogliono la pace, anche coloro che aggrediscono gli altri stati, per difendere la propria sicurezza estendendo il più possibile il proprio spazio vitale.

Dopo la comparsa sulla scena di armi atomiche sempre più mutuamente distruttive, don Milani poté scrivere nella Lettera ai giudici (1965) che “allora una guerra difensiva non esiste più”, e che “non esiste più una guerra giusta né per la Chiesa né per la Costituzione”. Papa Francesco, parlando ad Assisi il 24/9/2022, dopo l’invasione russa del l’Ucraina il 24/2/2022, aveva supplicato Putin di fermare la spirale della violenza “anche per amore del suo popolo”, e chiesto a Zelensky, presidente dell’Ucraina, di essere “aperto a serie proposte di pace”.
Ora, dopo due anni di guerra, il sostegno finora assicurato all’Ucraina dalla Nato, a cominciare dagli USA, è diventato problematico, col rischio di un esito disastroso del conflitto, reso cupo dalle reiterate evocazioni russe del ricorso all’atomica. A questo punto il Papa, in un’intervista ad un giornale svizzero, a proposito dell’Ucraina ha detto che “il coraggio della bandiera bianca per negoziare con l’aiuto di potenze mediatrici serve per evitare che la cosa sia peggiore”.
La Sala Stampa del Vaticano ha chiarito che la bandiera bianca non significa resa incondizionata dell’Ucraina ma impegno per un negoziato concreto. A queste dichiarazioni sono seguiti molti commenti, in diverse sedi. Mi permetto una breve riflessione in merito.
Nel cristianesimo la concezione “non militare” ma “conviviale” della comunità umana è portata all’estremo, con il comandamento ama il prossimo tuo come te stesso (Mt, 22,37- 40), con la successiva precisazione che il prossimo è composto da tutti gli uomini, considerati fratelli, figli di un unico Padre, compresi i nemici (Lc, 6, 27-38).
Gesù rispose affermativamente alla domanda di Pilato, di essere un re, ma che il suo Regno non è di questo mondo. “Se il mio regno fosse di questo mondo i miei servi combatterebbero per non consegnarmi ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù” (Gv, 18,36). Vuol forse dire che questo mondo è destinato a convivere in eterno con la guerra? Secondo la nota teoria di Hobbes, lo stato di natura è concepito come lotta di individui umani, che si combattono senza regole (bellum omnium contra omnes). Per sopravvivere in società, devono rinunciare alla loro libertà, con un patto di soggezione nei riguardi di un sovrano che, per garantire sicurezza, ossia l’unica pace possibile, dev’essere assoluto, cioè sciolto da ogni vincolo estraneo alla volontà dei sudditi. Essendo però, anche il sovrano, un “dio mortale”, la temporanea pace garantita sarebbe seguita da un nuovo scatenarsi di guerre interne, in attesa che si rinnovi il patto di soggezione con un nuovo dittatore. Insomma, si dovrebbe scegliere tra la libertà bellicosa senza regole e la sicurezza senza libertà, con un alternarsi di caos sociale e di dittature.
E i rapporti tra stati sarebbero affidati al diritto di farsi la guerra.
Secondo i Vangeli, Gesù da un lato rinuncia a combattere, dicendo a Pietro, che vuole difenderlo: “Rimetti la spada al suo posto, perché quelli che useranno la spada moriranno colpiti dalla spada” (Mt, 26,52); dall’altro lato dice ai suoi: “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. La pace che vi dò non è come quella che dà il mondo: non vi preoccupate, non abbiate paura” (Gv, 14-27). Avverte poi che rifiutare la guerra significa rinunciare a versare il sangue degli altri, ma non il proprio. “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv, 15, 18-21).
La pace di Gesù è la salvezza eterna, che viene dal suo sacrificio e dall’amore del prossimo: in particolare dice che gli operatori di pace ”saranno chiamati figli di Dio” (Mt,5,1,12).

Nel mondo la pace può venire però solo dalla coraggiosa responsabilità delle persone, non dalla soppressione violenta della libertà altrui. Responsabilità che può anche essere interpretata come vigliaccheria da chi non vede alternative alla guerra, per difendersi dalla violenza.

La costruzione “negoziale” della pace, anche in epoca nucleare, richiede una cultura spirituale, etica, politica, diplomatica che va coltivata con tenacia.
Dopo gli accordi di Helsinki (1975), negli anni ’80 Gorbaciov e Reagan firmarono accordi che portarono, nel 1991, allo smaltimento di 2700 testate nucleari. Se non è stato il paradiso, almeno si è riusciti ad accordarsi, dopo il disastro nucleare di Chernobyl in Ucraina, per un pur breve periodo di lotta all’inferno.

Luciano Corradini

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