Di fronte alle vicende sempre più drammatiche, complesse e incomprensibili che affliggono le cronache quotidiane, c’è chi si appella alla prudenza e chi al coraggio. Se è vero, come diceva don Abbondio, che il coraggio uno non se lo può dare, e se neanche un maestro pavido o irresponsabile può insegnare ai giovani ad essere coraggiosi, è però doveroso prendere atto che dal mondo giovanile ci viene una preziosa testimonianza di coraggio e di saggezza. Al di là delle polemiche innescate da adulti un po’ invidiosi e rinunciatari, ci siamo accorti che esistono giovani capaci di richiamare noi adulti, con fermezza e ampiezza di orizzonti, alle nostre responsabilità.
Alludo in particolare a tre stupefacenti ragazze sedicenni, sbucate come funghi negli ultimi anni in tre diverse culture e in diverse parti del mondo. Son Malala Yousafzai, pakistana, Lane Murdock, americana del Connecticut e Greta Thumberg, svedese. La prima nel 2012 è stata ferita alla testa da un talebano che voleva ucciderla perché aveva difeso il diritto di tutti, anche delle ragazze, ad andare a scuola. Invitata all’ONU, Malala ha detto queste parole: “Credevano che quel proiettile mi avrebbe zittito, e invece la debolezza, l’impotenza, la paura sono morte. La forza, il potere, il coraggio sono emersi. Non odio nessuno. Se mi trovassi con una pistola in mano di fronte al talebano che mi ha sparato, non lo ucciderei. Questa è la compassione che ho imparato da Maometto, da Gesù e da Buddha. Un bambino, un insegnante, un libro una penna possono cambiare il mondo”.
Nel 2014, a 17 anni, Malala ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Lane guida da tre anni una mobilitazione fra tutti gli studenti americani contro la insensata diffusione delle armi negli USA, difesa da Trump, con lo slogan “Enough is Enough”. Una volta erano le mamme e le insegnanti a dire “basta!” ai figli discoli e rivoltosi. Oggi questo ruolo l’hanno assunto anche alcune ragazze teen ager. Sono non solo sognatrici, ma organizzatrici di pace, in nome dei diritti umani.
Nella recente Assemblea dell’ONU la parte della madre arrabbiata che richiama gli adulti potenti ai loro doveri l’ha fatta la sedicenne Greta, mentre la parte dei figli immaturi e strafottenti l’hanno fatta il presidente del Brasile Jair Bolsonaro (“L’Amazzonia non è patrimonio dell’Umanità, e nemmeno polmone del mondo. Tutte frottole. Tra l’altro è «praticamente intatta» E sarebbe meglio smettere di credere ai media”), e il presidente degli USA Donald Trump, che non ha degnato Greta neppure di uno sguardo. Nessuno ha tutto il sapere, tutta la saggezza, tutto il potere necessari a salvare il Pianeta dalla componente di egoismo e di stupidità che ne stanno compromettendo il futuro. Il contributo che viene da queste tre ragazze e da una parte consistente della Generazione Z è però come una goccia che scava la pietra. Greta è arrivata vicino al Nobel, ma nel cuore di molti lo ha già meritato, per il coraggio e la speranza che sta diffondendo nel mondo.
Luciano Corradini