La cittadinanza non è solo una caratteristica anagrafica e giuridica, ma anche una dimensione spirituale e culturale delle persone: dimensione che riguarda il sentimento e la coscienza della propria identità, della propria e dell’altrui dignità e della propria appartenenza a uno o più contesti relazionali. E’ in riferimento a queste dimensioni che si diviene consapevoli di una serie di diritti e di doveri, giuridici e/o morali, relativi ai diversi ambiti sociali di cui si è parte e in cui si possono rivendicare e vedersi riconosciuti certi diritti, e sentirsi tenuti a esercitare certi doveri, in relazione ai gradi di maturazione etica e civile dei diversi Paesi e delle diverse persone.
La cittadinanza insomma appartiene anche all’ordine dell’affettivo e del morale e non solo del giuridico. Del resto le relazioni sociali e civili si basano sul fatto che la comunità esige dai propri membri di “stare ai patti” e prevede delle sanzioni per coloro che si sottraggono a tale dovere. Non sono però le sanzioni il vero motivo per cui si rispettano i patti: una società ed una civiltà reggono nella misura in cui vi è una libera e intelligente adesione alle norme che la regolano, ovvero un’adesione che ha un fondamento morale, su cui si basa la possibilità di costruire un solido legame giuridico. L’art. 118 della Costituzione, per esempio, legittima e promuove la «cittadinanza attiva», che riguarda «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».

Sentirsi italiani e interrogarsi sul proprio destino
Anche senza nozioni giuridiche e senza diritto di voto, un bambino può cominciare a sentirsi “cittadino”, oltre che della sua famiglia, anche della sua scuola, della sua parrocchia o comunità religiosa, della sua associazione o gruppo sportivo, del suo quartiere, della sua città, della sua regione, dell’Italia, dell’Europa e del mondo.
L’identità di una persona può declinarsi a più livelli: da quello fisico-biologico (ciascuno di noi ha un suo “codice genetico”) a quello emotivo, relazionale, esistenziale, culturale, anagrafico, giuridico, sociale, politico
La domanda che i giovani più o meno esplicitamente si fanno sulla loro identità personale contiene implicitamente una domanda filosofica e religiosa sull’inizio e sulla fine, sul senso dell’esserci e sul proprio posto nella società in cui vivono Tutto ciò implica anche delicate questioni psicologiche: e cioè il sentirsi accettati, appartenenti, rispettati, in qualche modo valorizzati. In che misura i valori di natura civico-politica contribuiscono all’identità  dei giovani? E che cosa può fare la scuola per promuovere la conoscenza, la coscienza  e la pratica relative a questi valori? Il discorso riguarda sia i nostri figli, che non succhiano col latte i valori costituzionali, sia gli immigrati aventi certe caratteristiche, di cui si fa carico la legge sullo ius culturae.

Luciano Corradini

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