La pedagogia e la letteratura dell’Ottocento si sono dedicate con impegno, con diversità di argomenti e di toni a “fare gli italiani”. Il compito di oggi è simile, sia pure in contesto diverso, aperto all’Europa e alla globalizzazione dei mercati e dei diritti, ma anche delle proposte indecenti. La scuola non ha tutte le colpe e tutte le possibilità, ma probabilmente si sottovaluta in rapporto a questo compito di ricostruzione di una visione civile.
La ragione di questo degrado sta indubbiamente nell’ipertrofia dei diritti rispetto ai doveri, dell’io rispetto agli altri e alle istituzioni, nella presa in considerazione del proprio pezzetto di specchio come se fosse la realtà totale, nel rattrappimento dell’animo sul presente, come se prima di noi e dopo di noi non ci fosse nessuno a cui dire grazie e a cui rendere conto.
Potremmo aggiungere che questo fenomeno è dovuto anche all’impallidire della visione religiosa della vita. Se per molti Dio non è più principio di intelligibilità del mondo, di accettabilità della vita anche in condizioni estreme di indigenza, di governabilità della società, di guida alla lotta non violenta per la giustizia; se non è più legislatore, giusto giudice e insieme premio infinito per una vita buona e castigo per una vita cattiva, è comprensibile che gli idoli del denaro, del piacere, dell’apparire e del potere prendano il suo posto.
Quello stesso Gesù, che ha detto che si deve dare a Cesare quello che è di Cesare, ha aggiunto che occorre dare a Dio quello che è di Dio, ammonendo che non si può servire a due padroni, Dio e Mammona. Il tramonto nella coscienza di Dio fa ricadere molti su Mammona. Lo stesso Cesare infatti, e cioè lo Stato, rimane privo di legittimazione profonda, come un re travicello, di cui si può farsi beffe, a destra come a sinistra, sia rifiutando di dargli la moneta delle tasse, sia bruciandone l’immagine sulle piazze. Per fortuna questa caduta non è inevitabile, come dimostrano tanti laici dalla schiena dritta.
Certo, l’etica non è giustificabile solo in chiave religiosa, ma non si può dimenticare che questa ha rappresentato per millenni la radice del bene e del male. L’insegnamento della religione cattolica nella scuola non mira alla conversione e alla catechesi, ma deve pur mostrare ai giovani che la scomparsa del riferimento alla trascendenza pone il problema di assumere su di sé la responsabilità di dare un senso al mondo, di curarlo e di trasmetterlo il più possibile integro e governabile alle nuove generazioni.
In questo senso il dialogo fra Napolitano e Ratzinger è stato esemplare per dignità e chiarezza da entrambe le parti. Nessun pignolo richiamo rituale alle indipendenze e alle sovranità, ma reciproco riconoscimento della necessità di unire i propri sforzi, ciascuno con i propri valori e i propri mezzi, per “rinsaldare l’unità della Nazione e la coesione della società italiana”. Napolitano ha chiaramente chiesto aiuto al Papa, parlando di “comune missione educativa”, senza timore di alimentare interpretazioni malevole.
E il Papa ha risposto che la Chiesa non aspira ad alcuna supremazia e “non intende essere un agente politico”.
A Napoli, col card. Sepe, Napolitano ha parlato di alleanza fra Stato e Chiesa, sul piano dell’educazione ai valori.
Se n’è fatta di strada da Machiavelli e dal Congresso di Vienna, che aveva sostenuto l’alleanza fra trono e altare, in funzione reazionaria.
Ai vertici dello Stato e della Chiesa sono seguiti Mattarella e Bergoglio, e ora Prevost, che stanno affrontando una situazione geopolitica caratterizzata da guerre, frutto di progressivo abbandono delle conquiste eticopolitiche basate sul diritto internazionale dei diritti umani.
Ora si tratta di ricostruire un tessuto lacerato, per far vivere le istituzioni democratiche e salvarsi dal sottosviluppo e dal degrado.
Luciano Corradini